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La  Pia   de'  Tolomei

 

a cura di Laura Bernardi

 

 

La Pia de’ Tolomei nobildonna senese vissuta nel XIII, è famosa ancor oggi per la sua triste vicenda. Do’ qui alcuni accenni della sua controversa storia, anche se notizie si trovano semplicemente consultando le tante pagine di Internet. Sembra che Pia fosse stata la prima moglie di Nello d’Inghiramo dei Pannocchieschi, detto della Pietra, signore di un’importante famiglia della Maremma, che fu anche podestà di Volterra e di Lucca. La sua storia è ancora avvolta nel mistero: non si sa se per tradimento, per inganno di un amico fidato di Nello, perché Nello si era innamorato di un’altra donna (la sua seconda moglie, Margherita Aldobrandeschi) Pia venne segregata nel Castello della Pietra in Maremma. Sembra che sia stata uccisa dal marito, ma alcune leggende narrano che forse, fu lei stessa ad uccidersi, buttandosi giù dalla finestra della camera nuziale del castello (ancor oggi quel precipizio viene chiamato il “salto della Contessa”). Gli studiosi ancora cercano tra le fonti, e recenti studi addirittura affermano che Pia de’ Tolomei fu solo un personaggio letterario e che la Pia “storica” era in realtà della famiglia de’ Malevolti. Dante cantò di lei nel V canto del Purgatorio e celeberrimi sono i suoi versi: “Ricorditi di me, che son la Pia; – Siena mi fé, disfecemi Maremma: – salsi colui che inanellata pria – disposando, m’avea con la sua gemma”. Numerosi artisti si ispirarono alla sua figura e Gaetano Donizetti intitolò alla Pia una famosa tragedia lirica. Di lei scrissero molti poeti, come Bartolomeo Sestini e Giuseppe Baldi, ma in particolare viene ricordato Giuseppe Moroni detto Il Niccheri, poeta estemporaneo dell’800 che dedicò alla Pia un poemetto in ottava rima. Il poema si diffuse in tutta la Toscana dapprima su fogli a stampa, con un successo incredibile per l’epoca, in seguito, grazie alla tradizione orale, divenne canzone e come tale venne tramandata fino ai nostri giorni. Questa è la versione che è arrivata fino a me così come l’ha appresa mia madre da una vicina di casa, che a sua volta l’aveva imparata da sua madre, e che veniva cantava nelle lunghe veglie d’inverno, quando ancora non c’era la televisione. Si leggerà nei versi che seguono che Il Niccheri sposò la tesi dell’inganno e della calunnia di Ghino, amico fedele di Nello. Nella versione tramandata tuttavia ci sono delle imprecisioni (Cortesi al posto di Cortonesi, fattor al posto di factotum, Chino al posto di Ghino ecc.) che non ho corretto volutamente perché mi sembra doveroso riportare il testo così come si è diffuso a memoria nel corso degli anni.

 

Laura Bernardi

Camigliano Santa Gemma, agosto 2007

 

 

Negli anni che de’ Guelfi e Ghibellini

Repubblica a quei tempi costumava

battevano i Cortesi e gli Aretini

specie d’ogni partito guerreggiava.

I Pisani battean coi Fiorentini

Siena con le Maremme contrastava

Chiusi battea contro Volterra

‘un c’era posto che ‘un facessen guerra.

 

Un signore di Siena che non erra

che della Pietra vien chiamato Nello

sposò la Tolomei, onesta e sgherra,

e un giusto matrimon passò con quello.

Nativa Pia è della senese terra

Pietro diletto è il suo carnal fratello

l’altro è Chino che adesso a voi vi dico

che Nello lo tenea fedele amico.

 

Ecco che di Valdenza viene un plico

di carriera a cavallo e una staffetta

e v’era scritto che il campo nemico

vi si avanza sopra il Colle in vetta.

Ritorna Nello e disse al suolo antico

“Digli che vengo e il mio partir s’affretta

presto sarò a trovare il reggimento

come va ‘n poppa il vantaggioso vento”

 

Corre e abbraccia la moglie n’un momento

Dicendo “Cara devo fa’ partenza.

Questo l’è un plico come a te presento,

mi  chiamano per Colle di Valdenza”

Rispose Pia con gran dispiacimento

“Pregherò la Divina Onnipotenza,

l’Eterno pregherò con cuor sincero

che torni a Siena vincitor guerriero.

 

Nello, a te grazia io dimando e spero

manda scritte le cose come vanno!”

Nello rispose: “Ti sarò sincero:

ti scriverò ogni dì, ogni mese all’anno”

Tanto la si prepara ogni destriero

si baciano tra lor, l’addio si danno

mont’ a cavallo e la sua mano imbriglia

il pianto a tutt’ e due bagnò le ciglia.

 

Nello tragitta per la gran guerriglia

e Chino che da fattor vi resta

e Pia, che di bellezza è meraviglia

eccoti Chino che al pensier si desta.

La tenta, la conforta, la consiglia.

Rispose Pia “Che parola è questa?”

Chino raddoppia per tentar l’invito

e soddisfar con lei il su’appetito.

 

“Taci” rispose Pia “Oh scemunito

traditor di Nello, iniquo e rio,

fa che questo però non sia sentito

e il tuo brutto parlar vada in oblio.

Io penso a Nello caro mio marito

che santo matrimon giurai con Dio”

Chino non pole ave’ quel che ha tentato

s’ allontana da Pia tutto arrabbiato.

 

Piero anche lui, a quei tempi era soldato

fratello della Pia, di lui sorella

Nello tanto, tre plichi gli ha mandato

ch’è perditor  in questa parte e in quella.

Il quarto plico che gli fu portato

un annuncio di pace e di favella

“Si sospenda la guerra e si soggiorni

ogni soldato a casa sua ritorni”

 

Piero, fu il primo, con pensieri adorni

le notizie portava alla sorella

 nel giardino di lei e ne’ bei dintorni

e spesse notti a favellar con quella.

Chino che armato di calunnia e scorno

più volte gli facea la sentinella

a Pia che aspettava di giorno in giorno

di Nello il bramoso suo ritorno.

 

Chino pieno di calunnia e scorno

due miglia ne tragitta for di Siena.

La sera quando si perdeva il giorno

riscontra Nello e lo saluta appena.

“Nello, se tu sapessi il grande scorno,

e il disonor che la tua moglie mena!

Ti vorrei confidare una parola

ma devi giurarmi di tenerla in gola”

 

Nello parlò “Per me è nebbia che vola.

Mi conoscesti e io pur t’ho conosciuto”

E Chino principiò con quella scuola

“La moglie là ti tiene per rifiuto!

Dal giorno in poi che la lasciasti sola

tutte le notti un amico è venuto

a mezzanotte nel giardin pian piano

se non ci credi ti fo’ toccar con mano”

 

Nello si turba nel sentir l’arcano

s’arrabbia tra se’ con pena e doglie

e disse Chino “Noi ci andrem pian piano

tutto sperimenterai della tua moglie.

Se quel che ho detto ti ho parlato invano

noi varcheremo il muro entro due soglie”

In quel giardino un nascondiglio v’era

nuvole fitte d’imbrunita sera.

 

E l’undici di notte quasi gl’era

in guardia se ne stavan Chino e Nello.

Si sente per la strada un di carriera

la corda la tirò del campanello.

E Pia che in veste bianca va’ leggera

consueta d’aprire a suo fratello

capitan contro i guelfi fu guerriero,

quest’Ugo è detto, ma il suo nome è Piero.

 

Principia la pioggia e il tempo nero

la buonanotte diede alla sorella

Chino a Nello dicea “Guarda se è vero

o se quel che ho detto gli era una novella!”

Nello rispose “Castigarla spero!”

E Pia in casa ritornò pur ‘ella

e Chino e Nello risaltò in istrada

dicendo “Ognuno a casa sua ne vada”

 

Nello tirò la corda e non abbada

dalla rabbia strappò funi e catene

e Pia dicendo “Che suonata rara!

Questo l’è Nello mio, l’amato bene”

Di corsa l’apre e lui scotea la spada

che di sangue bilioso ha pien le vene.

Entrano nel palazzo a chiari rai

Pia te l’abbraccia e lui non parla mai.

 

Dicendo Pia a Nello “Cosa hai?

So che alla guerra fosti perditore.

Un’altra volta tu rivincerai

levati  la passione che hai nel cuore.

E perché una parola non mi fai?

Son la tua sposa Pia, il tuo primo amore!”

Di più s’affligge e gli crescea l’affanno

senza parlare a letto se ne vanno.

 

Nello s’addormentò, pensò all’inganno

ma non sapea che Pia l’era innocente

per cagione di Chino, quel malanno

che fece disturbar la brava gente.

La mattina sul dì, alba ridente

dicea Pia “Perché mi sei tiranno?”

Al collo gli si avventa e te l’abbraccia

ma lui tra urti e spinte la discaccia.

 

Poi si alza Nello e dice a seria faccia

come son le parole dei guerrieri

disse “Rizzati su vò andare a caccia

ordina un servitore e due destrieri!”

La si pettina Pia e il manto s’allaccia

di Nello non sapea i suoi pensieri

all’ordine sta lei e all’obbedienza

pronta per la Maremma è la partenza.

 

Nello con l’arme sue, Pia d’arme senza

e tutti e due a cavallo ne montorno

e disse Pia con piena confidenza

“Nello quando sarà il nostro ritorno?”

Nello la guarda con finta apparenza

dice “Starem laggiù per qualche giorno”

Venti miglia hanno fatto per quel sito

eccoli alla capanna di un romito.

 

E disse Pia “Caro mio marito,

mi sento arsione e prenderei da bere”

Nello tanto pregò questo romito

se un bicchier d’acqua c’aveva per piacere

Il penitente buono e premunito

sol di cuoio ci tenea un bicchiere

saltò in strada e prima di un baleno

portò loro il bicchiere d’acqua pieno.

 

Non si trattennero un minuto meno

e Nello lo ringraziò con nobile linguaggio

e Pia lo ringraziò sopra il terreno

e il romito che osserva il personaggio

con gli occhi bassi e con la fronte al seno

“Che Dio vi dia un felice viaggio!”

La Pia e Nello un altro addio gli disse

il romito con la man li benedisse.

 

E partean tutti e due a luci fisse

solo Dio nei due cuori v’impenetra

eccoli là dove Sestini scrisse

il detto Poggio Castel della Pietra.

Picchiano al castellano che gli aprisse

lui vien di corsa e gli apre a faccia tetra

prende i cavalli e le due briglie in mano

e li porta nella stalla il castellano.

 

Li costudisce e poi ritorna al piano

a vedere se Nello gli comanda.

Nello intanto, prega il castellano

“Procura di trovà qualche vivanda

che il viaggio da Siena gli è lontano”

Da mangià qualche cosa gli domanda

e il castellano andò senza tardare,

portò loro da bere e da mangiare.

 

E quando hanno finito di cenare

Nello si rizza ed un sospiro vola

e le vece facea di passeggiare

lasciò in disparte Pia in mensa sola

e disse al castellano “Non mancare!

Sacrosanta la sia la mia parola

nelle tue mani quella donna resta

se la lasci fuggì pena la testa!

 

Bada che non ti scappi alla foresta

 e che non metta pié for dal castello”

E un’altra parola gli manifesta

“Guarda che sempre chiuso sia il cancello

 se no per te sarebbe trista festa

se trasgredisci alle parol di Nello

se a quello che t’ho detto mancherai

al supplizio di morte te ne andrai.

 

Domattina alle quattro sellerai

i due cavalli che nella stalla tengo

piano al cancello me li porterai

io m’alzo presto e pria di te giù vengo”

Ritorna a Pia che ha lacrimosi rai

disse “D’andare a letto ne convengo”

E lei un pochino si consola

nel sentir fare a lui qualche parola.

 

Nello si posa sopra le lenzuola

mezzo spogliato ma non con carni nude

e Pia si spoglia tutta e la s’invola

e abbraccia Nello ma lui non conclude.

La buonanotte è l’ultima parola

poi si addormenta e la sua bocca chiude

Pia lo richiama e gli va più rasente

Nello dormia e non sentiva niente.

 

Di più s’affligge e si facea dolente

di non aver risposto lei si tormenta

stiede sveglia due ore interamente

ma poi presa dal sonno si addormenta.

La mattina sul dì, alba ridente

Nello si sveglia e con l’orecchio tende

sente che russa e placida dormia,

disse “Questo  è il momento di andar via!”

 

Piano come una mosca egli venia

prende scarpe, cappello e le sue spoglie

e in fondo della scala si vestia

e lasciò sola la dolente moglie.

In fondo del cancello c’era già

pronto cavallo e sella a quelle soglie

monta a cavallo e dice al castellano

abbada bene di seguir l’arcano.

 

Intanto il chiaro dì non è lontano

Pia si risveglia e fa per abbracciare Nello

sente vuoto dove mette la mano

poi apre gli occhi e non vede più il mantello.

Disse “Destino suolo maremmano

non vedo più né scarpe né cappello!”

Presto si veste e sospirando eslcama

e a voce forte il castellano chiama.

 

Le fu risposto “Cosa vuol madama?”

“Dimmi l’hai visto punto mio marito?”

“Sì, l’ho veduto che la caccia acclama

egli è du’ore e mezzo ch’è partito”

“E dov’è il mio cavallo che tanto l’ama?”

“Li ha presi tutti e due ben premunito”

e poi le disse con serie parole

“Bisogna restà qua partir non puole!”

 

Pia tra le nebbie la vedeva il sole

eran le dieci avanti mezzogiorno

ella scuote il cancello e aprir non puole

aveva il castellan sempre d’intorno.

Si affligge si stapazza piange e duole

e si fa tardi e Nello non è torno

“Apri!” lei disse al castellan “l’ingresso!”

“Signora mia” rispose “Un c’è permesso”

 

Ritorna via Pia a capo genuflesso

di più era tardi e s’imbrunia la sera

e Pia ritornò sul letto stesso

disse: “Sono in Maremma prigioniera”

E tante volte ripeteva spesso

piangendo si strappava la criniera.

Poco mangiare e tutta appassionata,

per non sapé la cosa com’è andata.

 

E pensa a Nello tutta la nottata,

dicendo: “Là per qualche selva folta

che non abbia qualche belva riscontrata,

o qualche lupo un’ gli abbia fatto scorta”

Specie al marito gli era tanto grata,

lì non c’era nessun che la conforta.

Dicea “Triste sventura iniqua e ria

non so di dove venga o quel che sia!”

 

Si vedeva il mangiare a economia

vigiliare come una carceriera

spesse volte diceva “A casa mia

dei Tolomei un paradiso era”

E tante notti la s’impauriva

al rode dei tarli in una notte intera.

Avea sentito dì da questo e quello

che abitavan le streghe in quel castello.

 

Intanto a Siena è ritornato Nello

se ne scarozza e se ne va a cavallo

e disse “L’ho rinchiusa nel castello

è prigioniera e non farà più il gallo!”

“Hai fatto bene!” Disse Chino a Nello

“Così conviene a chi commette fallo:

c’è tante donne” Disse a voce piena

“per divertirsi e consolarsi a Siena”

 

E Pia che lacrimando e pena

stiede sei mesi interi solitaria

s’era ridotta come una pergamena

di sua bellezza e di freschezza varia

“Lasciami andare un momentino appena”

disse alla guardia “A prendere un po’ d’aria”

La grazia per tre volte ella richiede

quasi morta parea che le concede.

 

E dietro a Pia il castellano andiede

eccoli giunti là sopra il balcone

da lontano un romito venir vede

e a capo basso in mano avea un bastone.

“Fermo, Bonaventura, ferma il piede

di una misera avrai tu compassione”

Il romito si ferma andà non puole

osserva lei come guardare il sole.

 

Pia principia con queste parole:

“Ti riconosco o buon penitenziere

sei mesi fa, fu che l’arsione vuole

alla capanna tua chiesi da bere”

Il romito riflette e parlà non puole

“Era marito tuo quel cavaliere?”

“Sì” Disse Pia “Mio marito era quello

che mi lasciò prigioniera nel castello.

 

Un piacere mi farai caro fratello,

se quel signor per caso ricombini,

di santo matrimon questo’è l’anello

ed è intrecciato della mia chioma e crini.

Vedrai che lui riconoscerà quello

digli che sono agli ultimi destini

te ne ringrazio e ti chiedo perdono,

ma digli a Nello che innocente sono!”

 

Parte il romito penitente e buono

che verso la capanna và pian piano

teneva stretto il ricevuto dono

 e Pia se ne partì col castellano.

Disse “Vieni con me non ti abbandono

vedo un certo segnale là sul piano”

inginocchiata una fanciulla v’era

ch’a un suo defunto gli facea preghiera.

 

S’avvicina e le dà la buona sera

“E tu che fai al Ciel santa dottrina”

alzando Pia la mano sua leggera

dal collo staccò una crocellina

“Tienila per memoria veritiera

ch’anch’io a seppellirmi son vicina

una tomba moderna tu vedrai

e le stesse preghiere a me farai”

 

Chino che in Chiesa non andava mai

 per caso giunse a Siena un missionario

predicava la fede che ben sai

Chino andava a ascoltarlo, caso raro.

E dicea “A bugiardi pene e guai

per i callunniatori un c’è riparo”

Alle parole del predicatore

Chino si turba e gli batteva il core.

 

Monta a cavallo come da cacciatore

per star diversi mesi alla campagna

Eccoti della Pia il genitore

con il genero suo s’accompagna.

Per la figlia, per il sangue e per l’amore

diceva a Nello “Là sulla montagna

di te fu sposa, di me fu figliola

noi ci anderem per una volta sola!”

 

Nello disse di sì “Passa parola,

ordina due cavalli e un servitore!”

E Pia diceva “Ahimé, qua sempre sola

Nello non vidi più né il genitore

Eppur dei Tolomei io fui figliola

Siena mi fé alle Maremme muore”

Negli ultimi momenti  che spirava

di Nello e il genitore domandava.

 

Ed ambedue per la via trottava

eccoli giunti ad una rozza capanna

La pioggia, il vento, e i tuoni balenava

il tempo di fermarsi li condanna.

Ecco un romito che in orazione stava

presto si volta e i’romito si affanna.

Al più giovin si volta e dice a quello

“Scusi, lei della Pietra è il signor Nello?”

 

“Sì”, gli rispose e si levò il cappello

Ecco i’ romito che principia intanto

Gli fa vedere il ricevuto anello

che avea passato il matrimonio santo

“Me lo diede una donna nel castello

e mi pregò con doloroso pianto”

Nello l’accetta e se lo riguardava

di più i capelli che afflizion gli dava.

 

A un tratto sente uno che gridava

“In disparte” diceva “Aiuto, aiuto!

Nello, e il romito subito ascoltava:

“Quest’è voce d’un uomo che è caduto!”

Nello e i’romito vi s’approssimava

diceva “Caro, che vi è intravvenuto?”

Quello era Chino che ferito gl’era

da una belva mordace, orrenda e fiera.

 

E riconobbe Nello quella sera.

Nello in tal guisa riconobbe Chino

che di sangue grondava dall’artera.

Iddio lo volle per fatal destino

“Nello la moglie tua ch’è prigioniera

io te la calunniai nel tuo giardino

ti giuro davanti a Dio onnipotente

levala presto perché l’è innocente.

 

La cagione sono io, s’ella è dolente.

La cagione son’io, s’ella è a soffrire

Fu io che la tentai segretamente

non volle ai miei capricci acconsentire.

Per me non c’è rimedio certamente

perdon ti chiedo, me ne vo’ a morire”

Nello tutto ascoltò poi fe’ partita

lasciò Chino spirante all’eremita.

 

Per una scorciatoia via salita

presto riparte il genitore e Nello.

E tutt’e due a camminar s’invita

e stimolando ogni pensiero a quello.

Eccoli giunti a una spiaggia pulita

distante mezzo miglio dal castello.

Si ferman tutt’e due ognuno ascolta

che una campana suonava a raccolta.

 

Nello alla sinistra allor si volta

vede dodici lumi e donne andava.

Disse a un fanciullin “Chi è quella morta?”

Gli fu risposto “Una donna che stava

sei mesi interi dentro a quella porta

sempre del suo consorte domandava.

Ch’è morta,  saran ventiquattr’ore

altro non posso dì caro signore!”

 

Nello riparte con il genitore

a gran carriera come fosse gara

e s’avvicina là dov’è l’albore

di lumi contornà vede una bara.

“Fermate” disse Nello “Per amore,

che dentro qua c’è la mia gioia cara”

Alza la coltre della bara per via

e vide morta l’innocente Pia.

 

Allor l’abbraccia e dice “Moglie mia!

Chissà quanto fu lungo il tuo dolore.

L’anima della Sant’Anna sia

e in braccio dell’eterno creatore”

Poi quelli la ricopre e vanno via

Nello si sviene e piange il genitore

Termino il canto e chiudo i versi miei

della dolente Pia de’ Tolomei.

 

Ancora su “La Pia de’ Tolomei”

Nel 1961 l’Amministrazione Provinciale di Lucca dette vita a un’interessante pubblicazione dal titolo “La Provincia di Lucca”. Nelle pagine della rivista, a periodicità semestrale, si potevano leggere articoli sulla vita economica di Lucca, sui problemi della viabilità e dell’urbanistica e sugli sviluppi dell’industria e dell’artigianato locali. Venivano inoltre approfonditi temi culturali e storici con particolare riguardo all’arte e agli artisti lucchesi. Non mancavano resoconti sulle scoperte archeologiche e interventi su teatro e poesia. Il direttore responsabile era Italo Pizzi e personalità come Giuseppe Ardinghi, Isa Belli Barsali, Ernesto Borelli, Silvio Ferri, Guglielmo Lera collaborarono con i loro testi. La rivista arrivò ad essere pubblicata ininterrottamente fino alla metà degli anni settanta. Essa rappresenta ancora uno strumento di studio e approfondimento indispensabile per studenti e studiosi di storia e vita lucchese.

Approfittando del fatto che è possibile riprodurre, purché si citi la fonte, testi e foto del periodico (così viene indicato sulla rivista) ho scansionato un articolo di Gino Arrighi dedicato alla rappresentazione in ottava rima della versione della “Pia de’Tolomei” di Pietro Frediani di Buti. Non sono riuscita a trovare il testo di questa versione, ma, dalle poche rime riportate nell’articolo si riesce a capire quanto sia differente dal testo del Niccheri, e soprattutto si riesce a comprendere quanto sia diffusa in Toscana la leggenda della Pia.

 

   

Le immagini sottostanti sono tratte dalla rivista "LA PROVINCIA DI LUCCA" del 1969