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CIRCOLO CULTURALE

ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE
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SEGROMIGNO E DINTORNI
La corte,
l’architettura dell’acqua, la villa liberty, la Chiesa di Segromigno in Piano.
Da una testimonianza alcuni
spunti di riflessione su territorio e paesaggio a Capannori.
a cura di Laura
Bernardi
Recentemente, una signora di Segromigno dalla viva memoria, mi ha raccontato
un pezzo di storia del suo paese e della sua famiglia a cavallo tra
Ottocento e Novecento. Mi ha parlato della corte lucchese fulcro della vita
contadina, rammaricandosi del fatto che purtroppo sta scomparendo, snaturata
nella struttura dalle ristrutturazioni. Mi ha narrato dell’importanza che i
contadini davano allo sfruttamento e alla regimazione dell’acqua piovana e
dei corsi, un lavoro che è andato perduto di pari passo con l’abbandono
delle campagne. Mi ha raccontato di quando suo nonno ha partecipato insieme
a tanti compaesani alla costruzione della Chiesa di Segromigno in Piano. Mi
ha parlato dell’avvento delle ville liberty e di come queste si siano bene
integrate con l’armonia del paesaggio della campagna lucchese. La
descrizione mi ha fatto venire in mente quello che scrisse Antonio Mazzarosa
oltre un secolo e mezzo fa: “L’aspetto della vallata… è dei più belli che
mai possa dirsi” (in A. Mazzarosa.: Le pratiche della campagna
lucchese. Lucca, 1846).
Per saperne di più ho pensato di fare una ricerca sui libri e una campagna
di indagine diretta sul territorio, ma vista la molteplicità degli argomenti
toccati ho dovuto trattarli in modo sintetico. Spero comunque che le
informazioni fornite siano sufficienti a far conoscere meglio aspetti poco
noti del nostro patrimonio architettonico e paesaggistico per poter meglio
apprezzare e valorizzare i luoghi in cui viviamo. Chi vorrà approfondire
potrà leggere i testi che ho consultato che sono elencati nella bibliografia
in calce al testo.
La Chiesa di Segromigno in Piano
Foto n.1-2-3
Chiesa di Segromigno in Piano

Foto n.1 |
Segromigno in Piano ottenne l’indipendenza giuridica da Segromigno
in Monte solo nel 1877. A quell’epoca, in corrispondenza di un notevole
aumento demografico e un conseguente incremento del numero dei fedeli, fu
deciso di realizzare una chiesa parrocchiale anche a Segromigno in Piano. |

Foto n.2 |
La
chiesa neoclassica fu costruita al posto della preesistente chiesina del
‘600 dedicata alla Madonna dei Dolori e fu progettata dall’Ingegner Carlo
Cervelli. Così almeno riportano nei loro scritti gli illustri storici
Guglielmo Lera e Carlo Gabrielli Rosi (Op.Cit. in bibliografia)
che hanno avuto modo di verificare i dati direttamente nei documenti
conservati presso l’archivio parrocchiale di Segromigno in Piano.
Nell’importante e più completo repertorio che ho consultato in materia (v.
bibliografia) non ho trovato alcun ingegnere o architetto Carlo Cervelli. Ho
trovato notizie dell’architetto e ingegnere lucchese Michele Cervelli
che dal 1850 al 1860 ricoprì un ruolo di primo piano nella Direzione
Generale dei Lavori d’Acque e Strade ma che nel 1840 realizzò la Chiesa
di Sant’Andrea a Viareggio, di linee architettoniche comparabili a quelle
della Chiesa di Segromigno in Piano. |
.

Foto n.3 |
Ma
anche l’architetto Giuseppe Pardini produsse una serie di
disegni per un impegnativo e ambizioso progetto per la nuova Chiesa
di Segromigno in Piano. E’ presumibile che chiunque abbia realizzato
il progetto si sia ispirato a quei disegni. La costruzione iniziò nel
1862 e vide la fine nel 1885 grazie al lavoro degli abitanti e alla
dedizione del parroco, Don Lodovico Bedini. Si narra che i
paesani andassero a caricare la pietra di Matraia con i barrocci
fino alla cava. Il campanile è rimasto presumibilmente
quello della vecchia chiesina.
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La
facciata della chiesa presenta serie di pietre di Matraia
alternate a laterizio. L’interno è a tre navate con
transetto ed è stato completato successivamente.
Ai lati dell’altare vi sono due sculture in legno rappresentanti il
Crocifisso e la Vergine dei Dolori realizzate da Angelo Santini.
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Foto n.5
Particolare della chiesa |

Foto n.4
Campanile |
Foto n. 6-7 Statue dei
Santi Frediano e Francesco

Foto n.6 |
Nelle nicchie ai lati dell’ingresso sono collocate le statue in
marmo dei Santi Frediano e Stefano.
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Foto n.7 |
Giuseppe
Pardini
(1799-1884)
si formò all’Accademia di San Luca a Roma, sotto la
guida di Raffaele Stern, che rappresentò una figura
determinante per la sua formazione accademica e che
influenzò in particolare i suoi primi lavori. Pardini si
perfezionò al Regio Liceo di Lucca per poi ritornare
a Roma nel 1826 dove, all’Accademia di San Luca, conseguì un
attestato di lode per un saggio architettonico. Dopo gli
studi si recò nel nord Italia e all’estero dove rimase
affascinato in particolare da Londra e da Parigi. Nel 1834
ritornò definitivamente a Lucca e nel 1837 conseguì la
cattedra di Architettura all’Accademia di Belle Arti
e fu nominato Ispettore e Consultore di tutte le
fabbriche del Ducato escluse quelle dipendenti dal Regio
Architetto Lorenzo Nottolini. Il suo primo progetto
importante fu quello della nuova Pieve di Marlia,
lavoro questo che andò avanti per decenni; in seguito
lavorò soprattutto a Bagni di Lucca dove edificò il Ponte
sull’Ospedale Demidoff, il Regio Casino dei Giuochi, L’Hotel
de Russie, La Chiesa Anglicana dei Bagni alla Villa e dove
progettò le Terme di Carlo Ludovico.
In quegli anni realizzò
il Teatro degli Animosi a Carrara. Fu incaricato di
restaurare la Basilica di San Frediano e alcuni ambienti del
Real Collegio e realizzò la Stazione Ferroviaria di Lucca,
la nuova sede del Tribunale e la Camera di Commercio. La sua
attività subì un arresto durante la cessione del Ducato di
Lucca al Granducato di Toscana, e in questo periodo si
dedicò esclusivamente all’insegnamento. Dopo il periodo
lorenese, Pardini riprese appieno l’attività di architetto
con la realizzazione della fabbrica del nuovo Istituto
d’Arte, del Palazzo Paoli, del Manicomio di Fregionaia,
dell’Ospedale Civico Lucchese, con gli incarichi per le
chiese di Mutigliano, Montuolo, Compito e il gran progetto
per la nuova basilica di Segromigno in Piano. I suoi lavori,
superando il neoclassicismo tipico del Nottolini, si sono
ispirati al classicismo più puro, anche se quelli degli
ultimi anni presentano stilemi tipici del neogotico e
dell’eclettismo. |
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Foto n.8 Pieve di Marlia |
Il pergamo della chiesa di
Segromigno in piano è arricchito da
un bassorilievo dello scultore Francesco Petroni fra i più
importanti artisti lucchesi dell’epoca. Il bassorilievo è del 1914 e
raffigura San Paolo che parla all’Aeropago. |
Allievo di Augusto Passaglia all’Accademia
di Belle Arti di Firenze,
Francesco Petroni
(1877-1960) fu professore al Regio Istituto di Belle Arti
di Lucca e membro della Commissione Conservatrice dei
Monumenti e Belle Arti della Provincia di Lucca.
Fece parte del comitato organizzatore per le mostre
artistiche Pro Arte Lucensi. Suo il monumento a Tito
Strocchi sotto il loggiato di Palazzo Pretorio, sue anche
numerose opere sepolcrali al Cimitero Monumentale di Lucca e
la decorazione in marmo dell’Ufficio Gambogi. Tra le altre
sue opere possiamo ricordare il monumento garibaldino a
Uzzano, il monumento a Luigi Pierotti a Trassilico e il
monumento a Raffaele Paoli-Puccetti a Gallicano. Il Petroni
lavorò non solo in ambito lucchese ma anche a Montecatini
Terme, Roma, Verona e Genova. Predilesse il bronzo e la
pietra. |
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Le vetrate sono state
realizzate dal 1972 al 1980 dal pittore Giuseppe Ardinghi
recentemente scomparso. Si tratta di 16 grandi lunette in vetro che
rappresentano: La creazione, La natività di Gesù, Il peccato
originale, il Battesimo di Cristo, Caino e Abele, Il Buon
Samaritano, Noé e l’Arca, La Samaritana al pozzo, Mosé e le tavole
della Legge, L’ultima cena, San Matteo Evangelista, San Marco
Evangelista, San Luca Evangelista, San Giovanni Evangelista, San
Giovanni Battista, Santa Caterina da Siena. Nella vetrata
dedicata a San Luca si possono vedere i profili in chiaroscuro
dell’autore e del prete committente, Don Emilio Angeli |
Giuseppe
Ardinghi
(1907-2007) insegnò all’Istituto d’Arte A.Passaglia
di Lucca dopo aver studiato nelle Accademie di Belle Arti
di Bologna, Firenze e Roma. Espose in numerose mostre
nazionali e internazionali, come La Biennale di Venezia,
e nel padiglione italiano di quella di Parigi dove ottenne
un diploma di medaglia d’oro. Con i suoi studi e le sue
collaborazioni a riviste e giornali ha dato un contributo
scientifico determinante alla storia dell’arte lucchese.
Oltre a quelle di Segromigno in Piano, Ardinghi ha
realizzato anche le vetrate nella Chiesa di Collodi e nel
Duomo di Lucca. Personalità eclettica ed erudita fu autore
tra l’altro nel 1951 dell’allestimento della mostra dei
disegni di Lorenzo Nottolini. E’ stato membro dell’Accademia
Lucchese di Scienze, Lettere e Arti. |
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Facevano
parte del patrimonio della Chiesa 14 grandi dipinti del ‘700 che componevano
il corpus della “Via Crucis”. Provenienti forse dalla Chiesa di
San Francesco di Lucca furono probabilmente acquisiti agli inizi del
‘900 dall’allora parroco Don Pera. Con l’intento di collocarli nel
futuro Museo Diocesano furono comprati alcuni anni fa dalla Cassa di
Risparmio di Lucca che si adoperò per un primo restauro. I quadri furono
realizzati con differenti stili e tecniche da diversi artisti lucchesi. I
dipinti portano sul retro la firma degli artisti Giovan Domenco Lombardi,
Francesco del Tintore, Vincenzo Vannucci, Francesco Ghibertoni, Tognini,
Mazzanti e Valle. Degli ultimi tre, che si sono firmati col solo
cognome, purtroppo non è stata trovata alcuna notizia certa nei repertori.
La Via Crucis
attualmente esposta in chiesa è in terracotta ed è dello scultore livornese
Mario Carlesi, che realizzò anche i Monumenti ai Caduti alla Pieve
San Paolo e a Tereglio.
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Giovan Domenico Lombardi
detto l’Omino (1682-1751) è sicuramente il pittore più importante tra quelli menzionati.
Artista estremamente espressivo sia nell’affresco che nella pittura su tela,
produsse opere sia a soggetto religioso che nature morte e ritratti. Operò
nelle chiese ma anche su commissione di importanti famiglie lucchesi.
Allievo di Giovanni Marracci fu influenzato dalla pittura dei lucchesi
Girolamo Scaglia e Pietro Ricchi, e, dopo un viaggio in Veneto,
in particolare dalle tele di Tiziano, Tintoretto e Veronese.
Tra le sue opere più importanti menzioniamo il Martirio di San Romano
nell’omonima chiesa, L’Adorazione dei Magi e L’Annunciazione
di Palazzo Mansi, il Miracolo di San Paolino nella chiesa omonima,
Il Martirio di San Quirico e Giulitta nella Parrocchia di Casabasciana e
i dipinti nella Chiesa di Massa Macinaia. Si narra che sia stato il maestro
del pittore lucchese più noto nel mondo, Pompeo Batoni.
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La corte lucchese
La corte
lucchese è un unicum tra gli edifici rurali. E’ nata e si è sviluppata
seguendo l’antica centuriazione romana e per questo, si è
straordinariamente integrata con il paesaggio agricolo circostante.
E’ solitamente composta da una fila di case unite tra loro e
sviluppate in più piani, con le facciate allineate poste a
settentrione e una schiera di cascine a meridione. Le cascine
venivano usate per il ricovero degli animali. |
Foto n. 1-2-3-4 Esempi di corte lucchese

Foto n. 1 |
Nella parte superiore, dove venivano conservati raccolto e foraggi,
la cascina aveva la particolarità delle mandolate in laterizio, che potevano essere a
castello di carte, a coltello e a scacchiera.
Le mandolate,
oltre a garantire la necessaria areazione davano un suggestivo, anche se
probabilmente non voluto, abbellimento a tutta la struttura e per
questo rappresentano oggi un elemento molto apprezzato nelle moderne
ristrutturazioni.
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Foto n. 2 |
In mezzo alla corte c’era l’aia, spazio comune e fulcro della
vita economica e sociale degli abitanti. Nell’aia si svolgeva la
lavorazione del raccolto e lì le messi venivano essiccate.
Ma
l’aia era anche luogo di attività ricreative e di veglie nelle
serate estive durante le quali si svolgevano intrattenimenti vari
come canti e balli, ma anche rappresentazioni teatrali improvvisate.
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Foto n. 3 |
Caratteristica della corte lucchese era quella di essere aperta,
predisposta all’ampliamento, necessario quando la famiglia iniziava
ad allargarsi.
Il
primo nucleo era formato da case a due piani, generalmente
riconoscibili perché più basse rispetto a quelle che si andavano ad
aggiungere in seguito. |

Foto n. 4 |

Foto n. 5 Mandolata a castello di carte |
Il materiale utilizzato per la costruzione era di solito laterizio
di recupero o altro materiale facilmente reperibile come i cotani. Questi sono grossi sassi di forma rotonda che si trovano scavando in
superficie il sottosuolo e che si sono formati nell’antico letto del fiume Serchio
che con il suo corso li ha levigati. |

Foto n. 6 Mandolata a coltello |

Foto n.
7 Mandolata
a scacchiera
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Ma, soprattutto nelle case più
recenti, veniva usata anche la pietra di Guamo o di altre cave
locali. Gli annessi adiacenti come il forno e il pozzo erano
di uso comune, mentre il comodo, gabinetto esterno alla casa, lo
stalletto per l’allevamento dei maiali, e il pollaio erano ad uso
personale. Il callare
o passo veniva chiamato l’ingresso che portava all’interno della
corte. A volte l’ingresso era completamente aperto, a volte era un
porticato. Ma all’esterno della corte, oltre alla rete viaria di derivazione
romana, sussisteva una viabilità, per così dire minore, ma importantissima
per il collegamento.Essa era censita nelle carte catastali. La redola,
ad esempio, era un viottolo in mezzo ai campi, che ne delimitava i confini e
impediva alle persone l’attraversamento degli stessi, evitando
danneggiamenti alle coltivazioni.
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Foto n. 8
Forno |
Spesso le redole erano circondate da
siepi. Questa viabilità è, ai nostri giorni, quasi completamente perduta,
inglobata dalle proprietà private che spesso sono recintate e non consentono
più il libero passaggio. |
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La casa liberty da Lucca a Capannori
Il Liberty
a Lucca arriva in ritardo rispetto ad altre città italiane e resta ancorato
alle regole stilistiche dell’architettura ottocentesca, in particolare il
neoclassicismo.
Gli inizi del Novecento corrispondono ad un notevole aumento demografico e
un conseguente sviluppo manifatturiero e industriale che arriva a portare ad
un aumento generale del benessere economico. Si trasforma e accresce la
classe borghese, che aderendo entusiasticamente ai nuovi canoni stilistici,
diventa il principale promotore della “nuova arte” e attraverso essa trova
modo di distinguersi.
Tanti gli artisti e gli architetti dell’epoca che si
cimentarono nelle più svariate espressioni. Sia essi scultori o architetti
poterono sfruttare al meglio le caratteristiche di un nuovo materiale, il
cemento, e molti furono i capolavori realizzati. Non è possibile fare a meno
di menzionare l’attività della famiglia degli Orzali, che furono al
tempo stesso imprenditori edili e architetti fra i più impegnati e
produttivi del periodo.
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Foto 1-2 Esempi di ville in stile
Liberty

Foto n. 1 |

Foto n. 2 |
Gaetano Orzali
(1873-1954) figlio
del muratore e impresario edile Modesto Orzali, conseguì la laurea nel 1895
alla Regia Scuola di Applicazione per gli ingegneri civili, industriali
ed architetti di Roma, e nel 1897 si diplomò all’Accademia di Belle
Arti di Firenze. Subito dopo si occupò della progettazione del Palazzo
Lazzareschi-Lazzeroni a Lucca, ma si trasferì ben presto a Genova dove già
abitava un suo zio. E lì ebbe una fama e una notorietà maggiori che non
nella natia Lucca dove però continuò a progettare edifici sia privati che
pubblici. Utilizzò il calcestruzzo in modo contenuto, senza troppi artifici.
Oltre all’edilizia privata (magnifico esempio la Villa Ducloz a San Marco,
ma anche la Palazzina Fanucchi, il Villino Berrettini e la Villa Puccinelli)
nel 1911 elaborò il disegno per l’ampliamento del Teatro Comunale, nel 1926
lavorò al progetto di una galleria tra Piazza San Michele e Piazza Grande e
curò inoltre il restauro di chiese come quella di San Romano e quella di
Sant’Anna. |
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Foto n. 3-4-5-6-7-8-9-10 Esempi di
decorazioni e fregi
Achille Orzali
(1867-1945) conseguì la
licenza al Regio Istituto di Belle Arti di Lucca e insieme al nipote
Gaetano fu tra i protagonisti indiscussi della scena liberty a Lucca. Operò
in particolare nella zona di residenza della famiglia, cioè il quartiere di
San Marco. Utilizzò spesso, assieme al cemento, i mattoni a vista,
soprattutto in prossimità delle finestre e agli spigoli delle costruzioni.
Ideò e applicò tecniche all’avanguardia, come i tabelloni tubolari in
laterizio o cemento. Tra i suoi progetti più importanti si possono
menzionare il Villino Giorgi, la Villa Fontana, il Palazzo Lipparelli, il
Villino Malfatti e la chiesa di San Marco ideata in collaborazione con Italo
Baccelli.
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Foto n. 3 |
Nonostante
che il crescente sviluppo viario avesse accorciato le distanze tra la città
di Lucca e i paesi limitrofi (il primo tronco ferroviario
Lucca-Pescia-Pistoia viene completato nel 1853 e nel 1907 viene
inaugurata la linea tramviaria Lucca-Pescia-Monsummano) l’art nouveau
in provincia approda intorno agli anni venti, quando nel resto d’Italia si è
già passati ad altri stili.
Negli anni
Settanta si sosteneva che fosse stata la ricchezza apportata dagli emigranti
ritornati dall’America a promuovere il liberty a Lucca.
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Foto n 4 |
Recenti studi
storici e archivistici hanno in parte ridimensionato questa ipotesi
ribadendo il ruolo svolto a Lucca dalla borghesia locale. Ma per quello che
concerne i paesi contigui gli stessi studi hanno riconosciuto l’importanza
fondamentale dell’intervento degli emigranti che rappresentarono i
principali sostenitori della nuova arte e dettero una spinta determinante
alle nuove costruzioni architettoniche.
Mentre chi
vuole ammirare i tanti esempi di architettura liberty a Lucca può trovarne
semplicemente facendo il giro della Circonvallazione e delle vie
traverse, nel capannorese non basta percorrere la via Pesciatina
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Foto n. 5 |
Le
case di gusto liberty, apparentemente meno appariscenti di quelle cittadine,
sono sparse in tutto il territorio, prevalentemente concentrate nei centri
più importanti.
Da segnalare
un fenomeno particolare in quel periodo, tipico della campagna, dove molto
case di corte vennero decorate con elementi in stile floreale.
Contrariamente a quanto avveniva per la corte rurale, la casa liberty si
sviluppa in un lotto unico e la struttura abitativa di solito è a due piani,
anche se in provincia si trovano molti esempi di villette a un solo piano
rialzato.
La disposizione interna è in genere la stessa, con salotto e
cucina a piano terra, l’ingresso centrale in asse con le scale e il secondo
piano che accoglie le camere da letto.
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Foto n. 6 |
I palazzi e
le ville più ampie ospitano a piano terra la sede delle attività
imprenditoriali dei proprietari. In particolare, per quello che riguarda il
capannorese trattasi di attività commerciali. Spesso è presente un balcone
esterno centrale impreziosito con ringhiere in ferro battuto
decorato o balaustre in cemento modellato.
La porta d’ingresso in legno si presenta a volte minuziosamente
intagliata. Le facciate vengono abbellite con raffinati fregi ad
affresco o a stucco, ma anche con decorazioni in maiolica
invetriata. |

Foto n. 7 |
Sovente anche gli interni vengono riccamente affrescati. Non di
rado i committenti fanno realizzare dagli artisti elementi decorativi
riconducibili al mestiere svolto. Tanti sono gli esempi nei quali viene
raffigurato Mercurio, il dio del commercio, o la dea Atena
tutrice dei metallurghi. |

Foto n.8 |
Oltre al già citato Francesco Petroni un altro degli scultori
più importanti dell’epoca fu
Alfredo Angeloni
(1883-1952). Angeloni
si formò al Regio Istituto di Belle Arti di Lucca e all’Accademia
di Belle Arti di Firenze e si perfezionò all’ Accademia di Brera
a Milano. Fu artista molto attivo nella realizzazione di opere funerarie e
celebrative oltre che decorative. Suo è il Monumento ai Caduti di Lucca nei
pressi di Porta San Pietro, inaugurato nel 1930 alla presenza del Re. Molti
furono anche altri monumenti ai caduti realizzati in varie località della
provincia di Lucca (Altopascio, Casabasciana, Bagni di Lucca, Fornoli,
Massarosa, Porcari, San Pietro a Vico, Segromigno e Villa Basilica). Opere
dello scultore si trovano anche nel Cimitero Monumentale di Lucca e in
quello di Viareggio. Tra le decorazioni liberty più eleganti realizzate da
Angeloni possiamo menzionare quella in marmo della profumeria Venus e quelle
in cemento delle facciate del Palazzo Giorgi. Angeloni lavorò anche in
Liguria e a Roma. |
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Il pittore decoratore di
maggior rilievo della sua epoca fu
Vincenzo Barsotti
(1876-1963).
Anch’egli frequentò il Regio Istituto di Belle Arti di Lucca e si
perfezionò a Roma. Nel 1911 in occasione dell’Esposizione Internazionale di
Roma del 1911, su disegno di Galileo Chini, realizzò il soffitto per la sala
lucchese del padiglione toscano. Sempre nel 1911, all’Esposizione Universale
di Torino, ottenne la medaglia d’argento per un portabandiera insieme al
fabbro Narciso Puccinelli. Al ritorno nella città natale si cimentò nella
decorazione della facciate della sede del Credito Italiano, nel Palazzo
Comunale e nel Palazzo del Governo. Realizzò su commissione delle più
importanti famiglie borghesi di Lucca le decorazioni delle loro ville e
delle cappelle cimiteriali. Negli ultimi anni della sua attività Vincenzo
Barsotti si dedicò all’acquarello. |
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Tra i tanti
artisti attivi in quel periodo ricordiamo gli scultori Giuseppe Baccelli
e Umberto Sorbi, Aurelio Franceschi, i pittori Arturo Chelini,
Giuseppe Lunardi. Tra le fabbriche artistiche più impegnate e
importanti possiamo invece menzionare la Manifattura Fornaci S.Lorenzo
Chini e C. e la Casentini & Piegaia che produssero maioliche
invetriate e, più recentemente la Fabbrica Tessieri di ceramiche
artistiche ancora esistente in Borgo Giannotti, i fabbri Guidi
(ancora esistenti) e Puccinelli, i mobilieri pesciatini
Spicciani.
Data
l’impossibilità di tracciare ogni singolo manufatto o intervento, è lecito
pensare che, oltre alle botteghe artigiane più famose, molti altri fabbri,
mobilieri e decoratori avessero lavorato, soprattutto nel Capannorese,
improntandosi al gusto liberty. |

Foto n. 9 |
Ed
è a queste figure pressoché sconosciute e dimenticate, a questi
autori di bellissime raffigurazioni che occorrerebbe
dedicare una ricerca specifica.

Foto n.
10 |

Foto n. 11
Elemento decorativo di casa di corte |
La regimazione delle acque
Da sempre i
lucchesi hanno dovuto tenere a bada le acque del Serchio che fin
dalla preistoria invadevano tutta la piana di Lucca per poi gettarsi nel
vicino Lago di Sesto o di Bientina. E se da un lato l’abbondanza di
acqua ha reso difficile l’insediamento delle genti, da un lato ha consentito
un fiorente sviluppo dell’agricoltura dando un particolare impulso alla
coltivazione del gelso. Secoli di tecnica e di ingegneria hanno contribuito
alla realizzazione di un sistema idraulico estremamente efficiente, pari in
Italia solo a quello della pianura padana.
A Lucca, la
fase di regimazione dell’acqua in canali iniziò a partire dal 180 d.c. ad
opera dei romani, e consentì lo sviluppo delle numerose fattorie e
della stessa città. Quest’opera imponente continuò nel corso del VI secolo con
l’intervento del vescovo Frediano, che provvide a mettere in
sicurezza un vasto territorio e che è stato documentato da numerose
fonti;in particolare si ricordi il famoso affresco di Amico Aspertini,
nella Chiesa di San Frediano, che raffigura il Vescovo lucchese con un
rastrello in mano intento a fermare simbolicamente il corso del Serchio.
Alla fine del Trecento la realizzazione parallela al Serchio del Condotto
Pubblico consentì di sfruttare l’acqua per scopi mirati, sia per uso
civile e agricolo, sia per la nascente attività produttiva (molini,
frantoi).
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Zanella
Foto n.1
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Canalizzazioni
Foto 2-3-4
Foto n.2 |
Nel 1500 venne istituita una speciale Magistratura delle acque
chiamata Offizio sopra il Fiume Serchio. I membri dell’Offizio
avevano il compito di sovrintendere ai lavori di canalizzazione
delle acque che dovevano essere eseguiti anche in relazione al
tracciato stradale esistente.
Foto n.3
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Foto n.4 |
Per consentire le opere di
canalizzazione, in virtù dei provvedimenti dell’Offizio, il popolo
dovette eseguire i lavori manuali e dovette farsi carico del
trasporto dei materiali necessari.
Nel 1500 venne istituita una speciale Magistratura delle acque
chiamata Offizio sopra il Fiume Serchio. I membri dell’Offizio
avevano il compito di sovrintendere ai lavori di canalizzazione delle acque
che dovevano essere eseguiti anche in relazione al tracciato stradale
esistente. Per consentire le opere di canalizzazione, in virtù dei
provvedimenti dell’Offizio, il popolo dovette eseguire i lavori manuali e
dovette farsi carico del trasporto dei materiali necessari.
Nel 1801 l’Offizio
venne definitivamente soppresso e fu istituito il Comitato Generale di
Acque, Fabbriche e Strade che poi si chiamò Direzione. I lucchesi
dovettero pagare un tributo per consentire le opere utili a risolvere il
problema delle acque e solo chi abitava in zone ad alto rischio di alluvione
era esente dal pagamento (ad esempio, coloro che vivevano vicino al Lago di
Sesto).
Nei vari
secoli furono molti gli ingegneri idraulici che si avvicendarono negli
interventi più vari e alcuni di essi pensarono di sfruttare l’acqua dei rii
per realizzare magnifiche fontane e giochi d’acqua nelle ville lucchesi.
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Archi e ponti
Foto 5-6-7-8-9-10-11-12-13

Foto 5 |
Nell’800 fu l’architetto Lorenzo Nottolini, famoso per
le Parole d’Oro e il suggestivo acquedotto, che riprese il
progetto dell’Arnolfini e lavorò attivamente al problema delle acque;
inoltre ideò lo studio più completo
(e purtroppo mai realizzato perché
dispendioso) di sistemazione idraulica della Piana e di bonifica del lago di
Sesto, chiamato il Gran Progetto.

Foto 6 |

Foto 7 |
Nel 1859, l’architetto Giuseppe
Manetti realizzò un’imponente opera idraulica di bonifica che venne
attuata attraverso un condotto sotterraneo (botte) sotto il Fiume Arno
e che permise il deflusso delle acque del Lago di Sesto in
un nuovo canale chiamato Emissario. Dal 1935 per circa vent’anni il
Consorzio di Bonifica di Bientina, nato dall’unione di tutti gli enti
preposti preesistenti, si impegnò nella sistemazione e nella
manutenzione degli argini, degli scoli e delle strade.

Foto 8 |

Foto 9 |
Nel 1951 l’ingegner Giovanni Girometti progettò la
costruzione del nuovo Scolmatore di Pontedera
che consentì di ultimare i lavori di bonifica del Bientina.

Foto10 |

Foto 11 |
Ma esiste
un’opera, sicuramente meno conosciuta, e in parte persa, di regimazione
idraulica, sia delle acque meteoriche che di quelle di falda, dovuta in gran
parte all’ingegno del popolo della campagna lucchese, opera che si è
stratificata e mantenuta nel tempo e che è servita non solo a
controllare le sempre numerose e imprevedibili inondazioni, ma che
ha consentito un sapiente ed economico utilizzo dell’acqua per
l’irrigazione dei campi e per gli usi civili.

Foto 12 |
Un lavoro enorme questo se si pensa a quanto fosse estesa nel
passato la canalizzazione non soltanto dei rii e dei fossati ma
anche delle fosse che delimitavano ciascun appezzamento di terra: un reticolo
fitto di scavi lungo i campi e le abitazioni che serviva a
raccogliere l’acqua piovana e del sottosuolo e che, dopo l’utilizzo,
provvedeva a recuperare e convogliare la stessa acqua nei canali. Si consideri anche il
fatto che non c’erano fognature perché i liquami, che venivano raccolti in
luoghi appositi, venivano utilizzati per la fertilizzazione del terreno. Sia
l’impatto ambientale che l’inquinamento potevano considerarsi davvero
irrilevanti.
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Foto 13 |
Gli argini e
i muri a secco erano costruiti in laterizio, e i ponti venivano realizzati
senza l’ausilio di macchine meccaniche. Tutto l’impianto era completato da
un sistema capillare di chiuse, paratie, zanelle, cisterne, terrazzamenti,
pozzi, e lavatoi che, con l’abbandono dei campi è in gran parte scomparso;
restano ancora qua e là alcuni elementi, qualche pezzo di muro, qualche
ponticello, qualche tratto di gora, ma attualmente l’acqua è stata tutta
incanalata nelle moderne tubazioni interrate e restano a cielo aperto
soltanto i fossati più grandi.
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Foto 14
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Elementi vari
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Muro a secco
Foto 18
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Laura
Bernardi
BIBLIOGRAFIA
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